Qualche giorno fa ho preso la parola in un’assemblea cittadina del Partito democratico; fra le cose che ho detto, ho pure sostenuto che quello che le associazioni LabMura, NonSostare e Artificio avevano fatto e stavano facendo in quella zona che noi agrigentini in maniera generica e omnicomprensiva chiamiamo “via Gallo” era semplicemente rivoluzionaria.
Non ho usato l’aggettivo a caso, né ho voluto artificiosamente caricare di significati d’esagerazione l’opera di quelle associazioni: ero e sono fermamente convinto che gl’interventi eseguiti e svolti in quel quartiere abbiano realmente una valenza dirompente, e perciò rivoluzionaria, rispetto all’inerzia che, dacché la conosco, caratterizza questa città; una città supina, o forse è meglio dire “prona”, che s’è vista vivere senza essere mai soggetto; che, muta, s’è vista devastare per la soddisfazione degli interessi di pochi; che s’è vista – nel senso vero della parola – assetare senza mai levare nemmeno un lamento, un grido di protesta.
Una città che ha assistito, sempre in silenzio e inspiegabilmente indifferente, al suo lento e inesorabile degrado, che è fatto di abbandoni e di crolli, di superfetazioni anacronistiche e antiestetiche, di avvolgibili entro cornici chiaramontane, di allumini anodizzati colore argento e oro entro stipiti barocchi; una città che ha assistito, da ultimo e sempre in silenzio, connivente e dunque correa, alla inimmaginabile erezione di muri per chiudere una vasta area del suo territorio e per farne, si voglia o no, che fosse o no nelle intenzioni di chi l’ha fatto, un vero e proprio ghetto dove s’è quasi naturalmente rinserrata la parte peggiore di se stessa: poveri di tutti i tipi, ladruncoli, drogati, mentecatti di vario genere.
È certo forte il dubbio che nulla di questo sia casuale e che piuttosto risponda a un qualche disegno e comunque all’interesse di chi oggi compra immobili di valore prossimo allo zero per poi farne, magari, una bella zona residenziale con una delle più belle vedute sulla Valle e verso il mare.
Non è difficile perciò immaginare che il silenzio e l’inerzia possano essere funzionali a speculazioni prossime future: la zona è a ridosso della via principale e la posizione delle case in quel naturale declivio che accompagna la collina renderebbero questo quartiere, se ripulito e ben messo, uno dei più belli di questa imbruttita città nostra.
E allora, se questo è vero, e, quand’anche vero non fosse sarebbe certamente verosimile e credibile, il rumore di persone, il movimento di gente, in definitiva il riportare la vita là dove non ce n’era più o magari ne erano rimasti brandelli marginali, urta contro il disegno e ne ostacola la realizzazione.
La speculazione, se non impossibile, diventa difficile. Ostacolata com’è – nei fatti – dalle velleità pseudo-artistiche e pseudo-culturali di quattro o quattordici strampalati che dipingono muri, fanno suonare strumenti mai visti, proiettano film, discorrono d’arte e di futuro, impiantano giardinetti dove c’erano immondezzai abbandonati, lì si danno appuntamento e lì s’incontrano.
Portare la vita in un posto in cui la vita quasi non c’è più e dove quella che è rimasta è assolutamente marginale, fatta di meretrici con prezzi da saldo; rendere i neri e i magrebini che abitano lì soggetti attivi e protagonisti, già di per se stesso è rivoluzionario e lo è ancora di più se finisce col rappresentare un ostacolo ad un possibile disegno speculativo.
Ho guardato con grande attenzione e con grande favore a questo fermento culturale localizzato lì, che non ho esitato e non esito a definire rivoluzionario. E proprio perché l’ho visto e pensato come rivoluzionario, stavo in guardia in attesa di un attacco che immaginavo imminente; e ne avevo messo in guardia quelli che fra gli artefici di questa piccola e silenziosa rivoluzione mi erano più vicini.
Aspettavo la reazione, sapevo che ci sarebbe stata, ma non immaginavo che la prima, almeno la prima e spero l’ultima, sarebbe venuta da dove è venuta.
Non immaginavo che si sarebbe potuto dar credito a una voce che non ne merita nessuno già per il solo fatto d’essere nascosta dietro l’anonimato. La realtà supera spesso l’immaginazione, e questa volta così è stato.
All’esca lanciata da una mamma che si dice preoccupata per le sorti di figli ventenni – in età, cioè, fino a ieri l’altro di servire in armi la Patria – abbocca (quanto meno: mostra d’abboccare) un foglio d’informazione che prima pubblica e poi ridimensiona l’appello accorato della povera sedicente madre che, per di più, pare non solo che non è madre, ma che neanche esiste, o, quanto meno, non esiste per come si presenta.
E dopo il giornale abbocca pure – o forse mostra d’abboccare – un gruppo di persone che pure in buona misura stimo e dal quale mai mi sarei aspettato un contrasto a quella che per me era ed è la piccola rivoluzione di via Vallicaldi.
Da questi amici dei quali spesso condivido ispirazione e intenzioni, ai quali ho guardato con interesse per molte delle loro azioni un po’ stravaganti e certamente inusuali, mai mi sarei aspettato condivisione e appoggio ad una madre che essi non possono non sapere falsa madre e in falsa apprensione per la sorte dei figli che si esporrebbero ai rischi dei crolli di via Gallo e allo smercio incontrollato di stupefacenti che essi, ovviamente, sanno inesistente.
Bisogna resistere e quanto più sostenere l’azione intrapresa per rivitalizzare la via Gallo.

Avv. Vincenzo Campo