Un ritratto inedito e un viaggio nel cuore della vita del giudice Rosario Livatino. Un racconto fatto da chi lo conosceva bene e fin da bambino aveva condiviso col giudice, ora beato, intere giornate a giocare, scherzare e a sognare un futuro fatto di successi.

Ad aprire le porte della casa del magistrato siciliano ucciso dalla mafia è il cugino, Vincenzo Livatino. Ne viene fuori un ritratto particolare e intenso di un uomo che non amava la ribalta della cronaca e che aveva deciso di vivere da semplice cittadino, pur avendo addosso enormi responsabilità e l’incubo della mafia che aveva deciso di ucciderlo.

Nella casa del giudice di Canicattì è rimasto tutto cristallizzato al giorno del suo omicidio, avvenuto il 21 settembre del 1990. La sua scrivania, la sua macchina da scrivere, i suoi libri e le sue amate videocassette archiviate con incredibile meticolosità. E poi la sua toga personalizzata, con trapuntato il cognome, riposta ancora nell’armadio così come lui l’aveva lasciata. Perfino i giochi utilizzati dai due cugini sono ancora lì, con i loro meccanismi che miracolosamente funzionano ancora alla perfezione. Una storia che fa riflettere e che ci riporta agli anni più bui della Sicilia, ma che fa emergere la forza di un uomo, un cittadino, un magistrato che da quell’oscurità cercava di far emergere la luce.