di Angelo Palillo – La primavera siciliana è il periodo dell’anno che attrae maggiormente il viaggiatore per la sua particolare magia, grazie al risveglio della natura e al suo clima mite. Neppure Johann Wolfgang Goethe, il più famoso tra quelli che hanno visitato la più bella città dei mortali, volle sottrarsi a questo richiamo. Di Goethe si conosce tutto del soggiorno agrigentino che iniziò il 23 aprile del 1787. Pochi conoscono invece colui che, probabilmente ispirò e spinse Goethe a visitare la Sicilia, così come molti altri viaggiatori che intrapresero alla fine del Settecento il Grand Tour. Mi riferisco a Johann Herman di Riedesel, barone di Eisenbach, discendente da una nobile famiglia dell’Assia che proprio duecentocinquanta anni fa concludeva il suo soggiorno nella città di Girgenti.

Johann Herman di Riedesel è stato il primo dei grandi viaggiatori della seconda metà del settecento a recarsi in Sicilia, a scrivere e pubblicare il suo diario di viaggio. Quando sia stato importante il suo viaggio lo testimonia l’amicizia con l’abate Winckelmann, definito da molti il padre dell’archeologia moderna. Winckelmann, che voleva approfondire a tutti i costi le sue cognizioni sull’arte greca presente soprattutto in Sicilia, necessitava di esperienze dirette sul posto. Per raggiungere questo scopo si servì anche di un giovane amico, conosciuto a Roma, appunto Johann Herman di Riedesel. Grazie agli insegnamenti ricevuti dall’abate Winckelmann, Riedesel poté formarsi una notevole conoscenza del mondo greco e dell’antichità classica. D’altronde migliore maestro di lui non poteva avere. Com’era in voga a quei tempi, non esistendo strutture alberghiere adeguate, Riedesel utilizzava delle lettere di presentazione che venivano consegnate ai nobili siciliani o ai conventi delle città visitate in modo che potesse godere dei conforti dell’ospitalità siciliana e dell’assistenza per compiere il suo lavoro di osservazione e ricerca delle antichità per poi descrivere, sotto forma di lettere, le sue esperienze all’abate Winckelmann, compresa la misurazione del tempio di Giove.

A Girgenti, il 7 Aprile 1767, Riedesel viveva una delle emozioni più forti del suo viaggio: “La città si trova a quattro miglia dal mare, sulla sommità di un monte su cui sorgeva l’antica acropoli greca. Se mai ho provato vivamente quel sentimento delizioso che una bella vista e una gradevole posizione sanno ispirare, è stato al mattino molto presto, gettando lo sguardo sulla campagna che si scorge dal convento degli Agostiniani dove ho preso alloggio”. Emozioni che lo spingono a desiderare di vivere ad Agrigento, “dimenticando tutto e da tutti dimenticato, guardando da lontano da terra il mare tempestoso”.

Nella cattedrale restò incantato dal sarcofago che si trova nel fonte battesimale. E qui Riedesel si rivelò fine conoscitore delle antichità classiche. E’ anche grazie alle sue osservazioni che si scopre il vero soggetto del bassorilievo che rappresenta la storia di Ippolito e Fedra, confutando le teorie di Padre Giuseppe Maria Pancrazi, il quale aveva sostenuto la tesi della rappresentazione di Phintia, ultimo tiranno di Akragas. Probabile che si sia confrontato sull’argomento con Don Salvatore D’Ettore, Barone di Sant’Anna o con Vincenzo Gaglio che nel 1773 pubblicò la sua dissertazione sopra un antico sarcofago, dimostrando che rappresentava la tragica favola di Ippolito e Fedra.

Curioso il riferimento al teatro greco di Akragas di Riedesel che ipotizzò trovarsi in una piaggia (pendio) coperta di vigne dove si scopre sotto terra un muro di quindici palmi di spessezza, fabbricato di grosse pietre vive. Anzi Riedesel suppone che questo muro abbia fatto parte della scena, “ tanto più che sopra queste pietre havvi un letto di larghi mattoni che sembra indicare il pavimento di questa scena.”

Il testo di Riedesel sarà, per molti anni, ispiratore del viaggio in Sicilia. Non ci sarà libro sulla Sicilia che non dedichi, in prefazione, qualche elogio a Riedesel. Anche Goethe che di Riedesel era un profondo ammiratore proprio durante il suo soggiorno a Girgenti il 26 aprile del 1787 scriveva: “Io rimasi a lungo alla finestra a godermi lo splendido mattino, avendo a fianco il mio quieto e misterioso, ma non muto amico. Finora ho taciuto il nome del mentore al quale di tanto in tanto mi affido; alludo all`ottimo Riedesel, il libriccino del quale porto sempre sul petto come un breviario o un talismano.” Il viaggio di Riedesel in provincia di Agrigento si concluse il 13 aprile del 1867, esattamente da Licata dove si imbarcò per l’isola di Malta.

Peccato che l’oblio e l’indifferenza hanno fatto passare questo duecentocinquantesimo anniversario senza che alcuno lo abbia, secondo me a buon diritto, ricordato, non fosse altro per l’amore per la nostra terra, le intuizioni archeologiche e per la promozione di cui abbiamo fruito nei secoli passati.