Nell’estate del 2010 si è posto all’attenzione dei lettori, dalle pagine di questo Settimanale (n.28), la disapplicazione dell’art. 14 dello Statuto relativo allo stemma civico da parte dell’Amministrazione comunale.
Quello attualmente in uso, infatti, è in contrasto con lo Statuto vigente nonché con disposizioni statali; esso è stato introdotto sul finire degli anni Ottanta, copiandolo da quello d’età fascista ed inserendovi sul “capo” (la terza parte superiore in cui è suddiviso lo scudo) il simbolo della Repubblica al posto del nefasto littorio.
Avevo scritto che tale operazione era “sacrilega”, perché l’emblema della Repubblica (che deve essere immerso in quell’azzurro inconfondibile, diventato sinonimo del Paese, e che può esser utilizzato soltanto da strutture statali) è stato annegato in quel colore che purtroppo ricorda il regime ma anche il sangue versato da tanti Italiani che vi si opposero, pagando anche con la vita gli ideali di libertà e democrazia.
Ma ancor più esecrabile era la permanenza di questa riproposizione anche dopo l’approvazione dello Statuto comunale (1996): di fatto questo prezioso strumento di democrazia partecipativa restava disapplicato, mentre qualcuno decideva di riportare indietro le lancette della storia. Ricordo che il vigente art. 14 stabilisce che: “emblema raffigurativo del Comune è lo stemma costituito da tre giganti che sorreggono tre torri contraddistinto dal motto «Signat Agrigentum mirabilis aula gigantum», così come riportato nella scultura del XV secolo custodita nel museo civico.(…)”.(vedi foto sotto)
Stemma citta ridotto
L’Amministrazione Comunale avrebbe dovuto applicare la volontà della città, espressa dal suo legittimo Consiglio. Non l’ha fatto!
Negli anni passati, nessun sindaco né consigliere comunale si è adoperato per correggere quella che nel 2010 il vice sindaco Massimo Muglia (I^ Giunta Zambuto) definì un’“oltraggiosa falsificazione del magnifico stemma della città di Agrigento”, dopo quanto fu denunciato su questo Settimanale.
Allora il Muglia si impegnò pubblicamente a correggere l’ “oltraggiosa falsificazione”, facendo “vivo appello al Sindaco” per “ripristinare la verità storica” (vedi L’Amico del Popolo n 45/2010).
Il Sindaco, però, non ascoltò il suo Vice. La 2^ Giunta Zambuto non ascoltò nemmeno la richiesta avanzata da questo Settimanale di ridare alla Città il suo antico stemma (n. 3/2011) e, perseverando nella disapplicazione dello Statuto Comunale vigente, presentò lo scorso mese di marzo una proposta di modifica dell’emblema civico, cui “viene riconosciuta l’originaria simbologia autorizzata dalla Consulta nazionale araldica” (come si può leggere nel comunicato stampa del Gabinetto del Sindaco del 15 marzo scorso). Secondo questa proposta, “emblema del Comune è lo stemma raffigurato nel gonfalone nella foggia autorizzata. Detta insegna deve essere sempre accompagnata dal Sindaco o da un Assessore delegato e/o dal Presidente del Consiglio Comunale o da un Consigliere delegato e scortata dai vigili urbani del Comune. E’ vietato (…)”.
Ho già denunciato pubblicamente quanto sia scandalosa questa proposta di modifica (Cfr. Delibera di Giunta n. 32 del 13 marzo scorso, contenente modifiche di altri articoli dello Statuto in base a nuove disposizioni di legge). Innanzitutto perché rappresenta una violazione delle prerogative del Consiglio comunale, al quale compete in base Testo Unico Enti Locali in modo esclusivo ogni decisione sull’emblema civico, decisione già presa nel 1996. È scandalosa poi, perché il testo del neo articolo non specifica nel dettaglio il simbolo cittadino. La stragrande maggioranza dei comuni italiani lo ha fatto nei propri Statuti e tutti sono custodi gelosi dei propri simboli civici. Città non meno importanti della Nostra, come Milano, Catania, Venezia, Palermo o Roma, lo hanno ben delineato nei loro Statuti. Perché Agrigento, secondo la proposta della Giunta, dovrebbe tacere sul proprio simbolo civico? Perché parlare soltanto di “foggia autorizzata”, se questa, peraltro, lo deve sempre essere?
È scandalosa inoltre, perché cancellerebbe la volontà della Città espressa nella fase costituiva della “Carta costituzionale del Comune” negli anni Novanta.
È scandalosa infine, perché viene proposta all’attenzione del Consiglio comunale una proposta di modifica, sebbene l’Ufficio Araldica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (in una nota trasmessa al Sindaco il 24 marzo del 2011 – clicca per leggere) abbia precisato che “relativamente alla presenza, nello stemma girgentano di un “capo” di rosso, caricato dall’emblema della Repubblica, è fatto arbitrario e non consono; infatti la soppressione del fascio littorio prevedeva la eliminazione di tutta l’area definita “capo”. Si rammenta inoltre che l’emblema dello Stato è fruibile solo dalla strutture ad esso afferente”.
Per questi motivi si è fondatamente indignati, anche per l’inerzia di un Sindaco che, venuto a saper di uno stemma “arbitrario” e “non consono, non ha fatto nulla fino ad oggi per correggerlo ma soprattutto per rispettare lo Statuto, come avevamo chiesto già dal 2010. Allora, quando denunciammo lo “strano stemma” usato dall’Amministrazione comunale alcuni accusarono il “settimanale del Vescovo” di aver sollevato “fra tanti problemi”, “forse quello meno urgente” oppure che dietro di esso ci fossero “aspetti interessantemente polemici, palesamente decifrabili dietro alle speculazioni araldiste” (“Porta di Ponte”, n. 1/2011, pag. 4, a firma di Arturo Attanasio, “Sullo stemma araldico del Comune di Agrigento”). La nota della Presidenza del Consiglio smentisce da se tali considerazioni, poiché l’uso “arbitrario” di uno stemma da parte di un comune non è un problema meno urgente di altri (non c’è di mezzo il rispetto delle leggi?) né speculativo-polemico (a cosa serve lo Statuto?).
È ora che il Consiglio comunale (dove si sta discutendo di tutte le proposte modifiche dello Statuto presentate dalla Giunta) faccia sentire la sua voce ma soprattutto faccia pesare le sue prerogative, affinché alla nostra Città sia ridato il suo antico e “magnifico stemma” che Essa – attraverso suoi precedenti e legittimi Consigli – aveva già deciso nel 1996 e nel 2002.
(Tratto da L’Amico del Popolo)