Sabato 30 aprile nella Chiesa madre di Raffadali, il card. Francesco Montenegro ha ordinato presbiteri Gianluca Arcuri della comunità ecclesiale di Cianciana, Davide La Corte della comunità ecclesiale di Ribera e Andrea Militello della comunità ecclesiale di Santa Elisabella.
Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia dell’Arcivescovo ed il discorso finale di rigranziamento del rettore del Seminario don Baldo Reina.

Foto da "LAMICODELPOPOLO.IT"
Foto da “LAMICODELPOPOLO.IT”

OMELIA DELL’ARCIVESCOVO CARD. FRANCESCO MONTENEGRO
Un affettuoso saluto a voi Davide, Gianluca e Andrea, ai vostri genitori (ai quali dico subito grazie perché vi hanno accompagnato nel vostro cammino vocazionale), ai vostri familiari, ai presbiteri e diaconi presenti, ai superiori e ai professori del Seminario, ai seminaristi, alle vostre comunità parrocchiali di origine e di ministero e a quella di Raffadali che ci ospita e a tutti i presenti. Tutti ci sentiamo in debito di gratitudine nei riguardi di voi tre, perché ci date la possibilità di sentirci uniti da tanta commozione e gioia. Tra poco imporrò le mani su di voi e invocherò lo Spirito perché siate portatori convinti e annunciatori fedeli del Vangelo, dispensatori gioiosi dei misteri e dei doni di Dio, guide serene del popolo santo, testimoni convinti della misericordia di Dio. Il Signore “vi costituisce come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio” (1 lett), vi consacra perché vi mettiate a servizio del mondo e continuate, come luce e sale (cfr Vangelo), la missione di Cristo, che è stato intraprendete, sconcertante e un irregolare agli occhi dei suoi contemporanei.
Nei giorni passati mi sono ritrovato tra le mani alcuni testi di sant’Orione. Mi piace citarvi qualche sua parola. Don Orione definisce i sacerdoti “facchini della Divina Provvidenza”, “con le maniche rimboccate”, “popolari”. Facendomi eco, vi dico di essere audaci, dinamici, fuori da quegli schemi precostruiti che diventano poco alla volta gabbie imbalsamatrici. Restate preti – anche se il tempo passa – sempre nuovi, nuovi nello stile, nelle idee, nel modo di “seminare e arare Cristo nel popolo”, nuovi perché “bollenti di fede e di carità e questo non per costruirvi una buona immagine tra la gente ma perché esserlo è un’esigenza della santità alla quale non potrete non aspirare”. Imitate Colui che avete scelto come modello del vostro servizio e poi “piegatevi con caritatevole dolcezza alla comprensione dei piccoli, dei poveri, degli umili, fatevi servitori cioè”. Paolo nella seconda lettura ha detto: “comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità”. Lo sarete se sarete accoglienti, se vi farete compagni soprattutto di quanti sono scartati e considerati pesi nella società e anche nella chiesa. Quando si ama davvero, l’altro è un fratello. E ai fratelli non si comanda; i fratelli si amano. “La vostra predica sia la carità”, quella carità che “apre gli occhi della fede e riscalda i cuori d’amore verso Dio”. Prendete sul serio l’amore, sentite forte dentro di voi la passione per Dio e per l’uomo, non imborghesitevi, non diventate burocrati delle cose di Dio e non impoverite il vostro servizio di banalità. Diceva don Orione: “non bisogna morire né in casa, né in sacrestia: fuori di sacrestia! Non perdere d’occhio mai la Chiesa, né la sacrestia, anzi il cuore deve essere là, la vita là, là dov’è l’Ostia; ma, con le debite cautele, bisogna che vi buttiate a un lavoro che non sia più solo quello che fate all’interno della chiesa”.
Siate uomini di Dio, come tali vi devono riconoscere, perciò, vivete in comunione stretta con Lui. La vostra vita e il vostro cuore siano sempre puntati su Dio.
Ma “amare Dio – diceva il Curato d’Ars – non consiste soltanto nel dirgli con la bocca: mio Dio, ti amo. Amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze, è preferirlo a tutto, è essere pronto a perdere i beni, l’onore, la vita stessa piuttosto che offenderlo. Amare Dio è amare niente al disopra di Lui, niente che sia incompatibile con Lui, niente che condivida con Lui il nostro cuore”.
Oggi è giorno di festa, ma la festa non dura a lungo! Comincerà la vita ordinaria, quella di tutti i giorni, e voi, senza appassire, dovrete sempre essere “ministri della speranza per gli altri” (Spe salvi, 34). Lo dovete essere in un mondo e in un tempo in cui non si guarda più il cielo, in cui Dio sembra il grande assente dalla storia, basta pensare alla violenza che dilaga, all’indifferenza che diventa sempre più uno stile di vita, alla corruzione che è diventata un etica diffusa. E lo dovete essere in una Chiesa che sembra aver timore di prendere il largo, e preferisce restare incatenata a un passato che, pur se ricco, rischia di metterci fuori gioco.
Vi chiedo di essere uomini, di vivere di vera umanità, di non sentirvi solo maestri, ma non dimenticando i limiti e il peccato che accompagnano ciascun uomo, anche noi, di farvi amici degli altri, soprattutto dei feriti e di quanti sono emarginati. Proprio perché uomini e uomini di Dio, siete chiamati a essere uomini della compassione – è significativo che siete ordinati nell’anno della misericordia – capaci di entrare nella miseria umana e di soffrire con gli altri: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Ricordate sempre che la misericordia è il cuore del Vangelo: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7). Aiutate tutti a riconoscere che il volto della Chiesa è quello di una madre, capace di amore e misericordia. Aiutate a riconoscerla compagna dei fratelli più poveri, per questo nel vostro ministero privilegiate la strada, uscite per andare incontro alle donne e agli uomini, soprattutto i giovani, che confusi dai mille finti profeti vagano sbandati e incapaci di trovare la Via e la Verità. Andate nei luoghi più abbandonati, preferiteli, riconoscete la “dignità infinita” di ogni persona e soprattutto schieratevi con chi se la vede offesa o tolta. Non fatevi prossimo degli altri solo per ottenere “conquiste pastorali, bensì – come diceva il Card. Bergoglio – per imitare il Maestro, sempre vicino, accessibile, disponibile per tutti, desideroso di comunicare vita in ogni angolo della terra”. E continuava: Crescete “nell’amore misericordioso con tutti quelli che vedono coartata la loro vita in ogni sua dimensione, come ci mostra lo stesso Signore in ogni suo gesto di misericordia”. Distinguetevi per il vostro essere ricchi della “spiritualità della gratuità, della misericordia, della solidarietà fraterna”. L’identikit del sacerdote, secondo Papa Francesco, è di essere un uomo “preso fra gli uomini, costituito in favore degli uomini, presente in mezzo agli altri uomini, non perciò un professionista della pastorale o dell’ evangelizzazione, che fa ciò che deve – anche bene, ma come fosse un mestiere – e poi se ne sta per conto suo. Ma si diventa preti per stare in mezzo alla gente: ecco la vicinanza. Ciò che in definitiva conta, dice Papa Francesco, sono le tre qualità che un sacerdote deve sempre testimoniare “vicinanza, viscere di misericordia, sguardo amorevole”:
Voi come Gesù che, nonostante fosse criticato in quanto perdonava i peccatori, frequentava la casa degli esclusi, dialogava con i pagani, rispondeva che era venuto per guarire e risanare chi è malato o ferito; voi come Gesù che si ferma vicino a chi è abbandonato ai margini della strada; voi come il Padre che accoglie e fa festa a chiunque, pentito, ritorna alla casa paterna.
Tra poco vi consegnerò il Vangelo della Misericordia, ed è questo Vangelo che vi consacra ministri della misericordia, e vi invia perchè sia annunziato a tutti: «Misericordia io voglio e non sacrificio» (Mt 12, 7). La misericordia, insomma, diventi la struttura portante del vostro ministero.
Siate portatori di misericordia anche nel presbiterio, tra i vostri confratelli, perché tutti ci si possa sentire fratelli.
Percorrete la strada della santità. Sarete preti secondo il cuore di Dio se chi avvicinerete sentirà in voi ardere e risplendere un grande ideale. Però non preferite quella santità – non è la prima volta che lo dico – che odora solo di incenso e di sacrestia (ma esiste una santità così?), ma quella che, partendo dall’ Eucaristia, attacca addosso quell’odore di uomo di cui non si riesce a liberarsene. Quell’odore che è tanto piaciuto a Gesù da farlo diventare uno di noi. Vi direbbe don Orione: “Non è solamente il prete con la stola al collo che può fare del bene, ma anche il prete che lavora” e poi “getta nella società tanto splendore di luce, tanta vita di amore di Dio e degli uomini da essere, più che i santi della Chiesa, i santi del popolo e della salute sociale”.
Papa Giovanni XXIII ha detto di don Orione: “La sua carità andava oltre i limiti normali”. “Era convinto che si potesse conquistare il mondo con l’amore”. Che si possa dire di voi le stesse cose.
Chiudo perché è il momento di ricevere l’imposizione delle mani.
Noi vi siamo accanto con l’affetto e la stima. Vi affidiamo a Maria, perché vi tenga per mano e vi protegga, vi sia consigliera e maestra. Restate alla Sua scuola, guardate a Lei, fatevi condurre da Lei. Da Lei imparate a tenere sempre nel cuore il Magnificat per essere uomini di gioia e di speranza.

RINGRAZIAMENTO FINALE DI DON BALDO REINA
Carissimo Padre Vescovo, insieme agli altri formatori del Seminario – don Stefano, don Francesco e don Giuseppe – e a nome di tutta questa assemblea desidero, solo per qualche istante, prolungare l’inno di ringraziamento che abbiamo appena innalzato al Padre per Andrea, Davide e Gianluca oggi, ordinati sacerdoti. Tutta la diocesi vede in questi suoi figli un segno della misericordia di Dio e dopo aver invocato il dono dello Spirito per la consacrazione, a loro guarda con speranza perché attraverso il ministero sacerdotale portino in ogni dove la buona Notizia con i tratti di Cristo servo, povero, casto e obbediente. A loro tre vorrei esprimere un augurio e insieme a loro desidero ringraziare le tante persone che li hanno accompagnato fino a qui. Per formulare l’augurio prendo in prestito un episodio che ci è stato raccontato qualche giorno fa da un confratello che è venuto a predicarci un ritiro spirituale. Un giovane fidanzato, una sera, convocò la famiglia della fidanzata per esprimere il suo impegno d’amore nei confronti della giovane davanti a tutta la sua famiglia. Nel cuore della serata, pronunciata la frase fatale – “voglio sposare vostra figlia” – si alzò il padre della ragazza e fissando il fidanzato gli disse: “Giuseppe però un sì che sia sì”. Andrea, Davide, Gianluca: un sì che sia sì! Non finiremo mai di indagare il mistero della vocazione; possiamo dire che non la meritiamo, che è troppo bella e troppo grande…ma quando ne prendiamo consapevolezza la risposta più adeguata che possiamo dare non è solo il “sì” ma un “sì che sia sì!”; totale, gioioso, consapevole, mai rassegnato, impastato di amore, ripieno di verità, con dentro tutta la nostra vita, i nostri sogni, le nostre ferite, offerto agli altri come l’unica nostra ricchezza, condiviso come l’unico nostro tesoro, curato più della nostra salute; sapendo che la decisione di non comprometterci per Cristo ci porterà inevitabilmente a comprometterci con il mondo e con tutto ciò che impoverisce il nostro sì. “Un sì che sia sì”. Questo è il nostro augurio! Insieme all’augurio un grazie corale alle tante persone di cui il Signore si è servito per giungere fino a qui. A partire dai genitori che vi hanno dato la vita e hanno messo nel vostro cuore il desiderio del bene e del bello; oggi, probabilmente, trovano risposta tante loro lacrime e, ne sono certo, il Signore li aiuterà a continuare con forza il cammino della loro vita. Un ricordo particolare per il papà di Davide che lo scorso mese di Agosto ha raggiunto il cielo; nella misteriosa comunione tra la chiesa pellegrinante e quella già gloriosa non mancherà di sostenere il figlio; così come vogliamo sostenere la famiglia di Andrea in questo momento particolarmente delicato per la salute del papà; al Signore provvidente affidiamo ogni cosa confidando sempre in Lui e nella sua bontà. Insieme alla famiglia vorrei ringraziare quanti hanno aiutato questi nostri amici nel discernimento e nella crescita vocazionale presso il nostro Seminario. A partire da Lei, carissimo don Franco, che ha sempre incoraggiato il cammino di questi giovani e ha messo nel loro cuore il desiderio di una vita sacerdotale quanto più somigliante al Vangelo: semplice, spesa per i più poveri e attenta ai tanti bisogni di questa umanità. Nel tempo della formazione il Signore ha permesso loro di incontrare persone che, passo passo, anche nei momenti più delicati e sofferti, li hanno aiutati a non perdere di vista che l’ordinazione sacerdotale è piena conformazione a Cristo crocifisso e risorto e che le prove non sono altra cosa rispetto all’ordine sacro, ma contribuiscono a creare un cuore sacerdotale che conosce la grammatica della passione e riconosce la luce della risurrezione. A tutti loro – formatori, padri spirituali, docenti e compagni di viaggio – un grazie sincero motivato dalla consapevolezza che tutti e, ognuno in modo proprio, hanno e abbiamo lavorato a servizio di Cristo sommo ed eterno sacerdote. Un pensiero colmo di gratitudine lo rivolgo ai tanti confratelli del nostro presbiterio e ai tanti sacerdoti che sono arrivati da altre diocesi; un “grazie” alle comunità parrocchiali di origine guidate dai rispettivi parroci che si sono succeduti nel tempo (Ribera, Cianciana e S.Elisabetta) e a quelle che hanno accolto i tre novelli sacerdoti in quest’ultimo periodo di servizio diaconale: Lampedusa, San Giovanni Gemini, la chiesa madre di Aragona, la parrocchia cattedrale di Agrigento e l’Associazione Casa Famiglia Rosetta guidata da P.Vincenzo Sorce. Anche a quanti oggi ci hanno permesso di vivere questa festa desidero dire il mio più sentito “grazie”: a questa comunità parrocchiale della Chiesa Madre di Raffadali, con il suo parroco, don Giuseppe Livatino, per l’accoglienza e la generosa disponibilità, all’amministrazione comunale guidata dal Sig Sindaco Silvio Cuffaro, ai Sindaci di S.Elisabetta, di Cianciana e di Ribera, alle autorità militari, alle forze dell’ordine, alla polizia municipale, ai tanti volontari che hanno lavorato nel silenzio, a quanti hanno messo a disposizione l’ambulanza, al Coro che ha animato la liturgia, agli Amici del Seminario, ai benefattori e a tutte le persone che nel silenzio hanno dato il loro prezioso contributo. A tutti e a ciascuno un sincero “grazie”. In conclusione vorrei immaginare un dialogo fra due persone che hanno sentito parlare di quello che è avvenuto qua dentro e, da uomini di strada – come i tanti che frequentano le nostre piazze – si sono interrogati sulla natura del sacerdote. Le loro risposte le immagino e ve le affido: “dove vorresti trovare il sacerdote? davanti al tabernacolo e in mezzo alla gente” “di cosa dovrebbe parlare un sacerdote? Di Vangelo, di speranza e di misericordia” “chi dovrebbero essere gli amici del sacerdote? I poveri, gli ultimi, i più sfortunati” “cosa deve fare un sacerdote? Deve rendere presente tutta la bellezza di Cristo” “Ma abbiamo ancora bisogno di sacerdoti? Di sacerdoti veri si, perchè abbiamo bisogno di cielo e di persone autentiche che ce lo sanno indicare mentre camminano verso di esso!” Andrea, Gianluca, Davide: non deludete le aspettative di tutta questa gente che vi vuole bene e, soprattutto, non deludete le aspettative di Dio. Siate sacerdoti così! Auguri