di Mimmo Pelagalli
Mentre un settimanale blasonato come L’Espresso prova a mettere nel ridicolo il sistema dei controlli pubblici su acque, alimenti e mangimi, a partire dall’ormai noto servizio “Bevi Napoli e poi Muori” da questa inchiesta di Radio CRC Targato Italia – redazione “Radio Terra” – salta fuori una realtà completamente diversa. I controlli pubblici italiani su acque, alimenti e mangimi rispondono a severe norme europee, i laboratori che effettuano le analisi devono essere obbligatoriamente accreditati presso la sezione italiana dell’infrastruttura di accreditamento dell’Unione Europea. E addirittura si scopre che l’ente italiano per l’accreditamento di prodotto sta tentando di estendere il suo sigillo sulle migliaia di laboratori privati che effettuano analisi di acque e alimenti in Haccp, il regime di autocontrollo dell’industria e del commercio di beni alimentari. Il sospetto legittimo è addirittura il contrario: in Italia potrebbe prospettarsi un’attività anche troppo ficcante dello Stato nell’attività dei laboratori privati. In violazione degli stessi trattati istitutivi dell’Unione Europea.
Intanto resta da chiedersi: che cosa è l’accreditamento? A che cosa serve e chi riguarda davvero?
E’ pratica comune di qualsiasi consumatore informato, perché chi è avvertito lo sa: certi oggetti meglio comprarli sempre con il marchio CE bene in vista. E occhio, perché tale marchio talvolta viene taroccato. Perché comprare con il marchio CE? Semplice, quelle effige significa che il consumatore sta acquistando prodotti certificati da un organismo di valutazione della conformità, che a sua volta è stato accreditato da un organismo pubblico nazionale unico – in Italia si chiama Accredia – che è stato costituito sulla base delle norme europee. Questa catena di controllo dovrebbe rassicurarci circa la bontà dell’acquisto. Un asciugacapelli? Deve avere il marchio CE, perché solo così saremo sicuri di non prendere la scossa mentre lo stiamo usando, ovviamente utilizzando tutte le comuni norme di buon uso. E un giocattolo per il nostro figlioletto o nipotino? Sempre con il marchio CE, diversamente – Dio non voglia – il nostro piccolino potrebbe farsi male.
La legge dell’Unione Europea è chiara. Il Regolamento (CE) 765/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio “che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti” – entrato in vigore dal primo gennaio 2010 – dice: per certificare che un prodotto industriale risponda alle norme di fabbricazione, le ISO, UNI o EN per intendersi, il fabbricante dovrà recarsi presso uno specifico laboratorio di prova che verifichi quanto rivendicato dal fabbricante. Ma il laboratorio in Italia dovrà avere – secondo le norme – la patente di organismo di valutazione della conformità, rilasciato da Accredia.
Recentemente Accredia – che è un’associazione senza scopo di lucro, composta per lo più da ministeri (Salute e Sviluppo economico in primis), Unioncamere, Confindustria e altre organizzazioni sindacali, si è fatta sentire con riguardo ai laboratori privati che effettuano analisi per l’HACCP: ovvero l’autocontrollo, a fini di igiene, dei punti critici nell’industria e nel commercio di beni alimentari. Secondo Accredia, un’azienda laboratoristica per potersi iscriver nell’Albo regionale dei laboratori per l’Haccp – normato dall’articolo 40 della legge 88/2009 e previsto dall’ Accordo Stato – Regioni dell’8 luglio 2010, deve farsi accreditare in via esclusiva presso di se. Secondo l’associazione, le attività di laboratorio sull’Haccp, che mediante analisi, e in sede di autocontrollo dei committenti, definiscono la bontà o meno del rispetto delle prassi di corretta prassi igienica nelle aziende che producono e commercializzano alimenti, sono equiparate all’attività dei laboratori di prova designati quali organismi di valutazione della conformità. Pertanto, fermo restando che nel caso dell’HACCP l’accreditamento è volontario, se si desidera essere iscritti nell’Albo regionale, occorre necessariamente farsi certificare da Accredia, quale unico ente accreditante secondo il Regolamento (CE) 765/2008.
La qual cosa ha fatto insorgere i laboratori HACCP, che vedono nell’atteggiamento di Accredia uno sconfinamento ed un sopruso: poiché i laboratori che effettuano analisi sull’HACCP non entrano nel merito della natura del prodotto, ovvero della sua eventuale conformità all’immissione in commercio legata al rispetto di norme Iso o Uni En. Ma non solo. Questi laboratori, che si occupano di HACCP, verificano il mero rispetto delle norme igieniche riguardanti gli alimenti ed i mangimi per animali, durante la loro trasformazione e commercializzazione e seguono le norme dettate da altra fonte comunitaria: il Regolamento (CE) N. 852/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, che nulla prevede in merito all’accreditamento dei laboratori. Anzi, l’articolo 4, comma 5 recita: ”Se il presente regolamento, e le relative misure di applicazione non specificano i metodi di campionatura o di analisi, gli operatori del settore alimentare possono utilizzare metodi appropriati contenuti in altre normative comunitarie o nazionali o, qualora non siano disponibili, metodi che consentano di ottenere risultati equivalenti a quelli ottenuti utilizzando il metodo di riferimento, purché detti metodi siano scientificamente convalidati in conformità di norme o protocolli riconosciuti a livello internazionale”. Pertanto, i laboratori che si occupano di HACCP dovrebbero potersi accreditare volontariamente e liberamente presso altri enti, anche esteri, e per altro potendo contare su un consistente risparmio di denaro, essendo fuori dal campo di applicazione del Regolamento sull’accreditamento dei prodotti. E ad avallare tale possibilità esiste una corposa documentazione prodotta dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – IV Reparto – Sezione Tecnica del 2011. Ma non solo: “Accredia costa ad un laboratorio 20mila euro il primo anno e 10mila i successivi per la conferma dell’accreditamento, stiamo parlando di un monopolio da centinai di milioni di euro che non ha fondamento giuridico nel nostro caso – spiega l’avvocato Salvatore Baiamonte, che in Sicilia difende le ragioni dell’Ordine dei Chimici e di una decina di laboratori e cura casi anche in Campania ed è egli stesso titolare di un laboratorio di analisi che esegue HACCP. Baiamonte – che il tre dicembre pronuncerà l’arringa innanzi al Tar della Sicilia per chiedere l’annullamento del decreto assessorile dell’assessore alla Sanità della Regione Siciliana, che regola l’iscrizione nell’elenco dei laboratori HACCP ai sensi della legge 88/2009 – aggiunge: “All’estero e con altri enti si risparmia moltissimo e francamente non vediamo perché dovremmo spendere tutti questi soldi in più per un servizio, quello dell’accreditamento dell’HACCP, che la normativa comunitaria non vincola agli enti unici accreditanti di prodotto, che sono altra cosa.”
Chi ha ragione? Difficile dirlo, certo è che tutto si gioca sul filo sottile dell’interpretazione delle norme della Unione Europea nel non facile contesto della legislazione italiana. Qui si prova ad esaminare ora le ragioni di Accredia e del fronte dei laboratori HACCP, che in questi giorni sta facendo fioccare una marea di ricorsi ai TAR di mezza Italia: “Poiché i decreti assessorili di tutte le regioni d’Italia legati all’applicazione della legge 88/2009 sono illegittimi – spiega l’avvocato Baiamonte – lì dove prevedano l’inserimento dei laboratori privati HACCP in appositi elenchi a patto di aver conseguito l’accreditamento da Accredia, poiché applicano la legge nazionale 88/2009 in violazione delle norme europee sull’HACCP”. E in ogni caso, lì dove è stata richiesta necessariamente la prestazione di Accredia quale ente accreditante, si segnala già una prima sentenza favorevole al fronte dei laboratori Haccp: è l’ordinanza del Consiglio di Stato NRG 7378 del 2011, che sancisce la validità dei certificati di accreditamento di un ente straniero di diritto privato in Italia.
Le ragioni di Accredia
Accredia ha costituito in seno alla sua struttura un “Dipartimento laboratori di prova per la sicurezza degli alimenti”, che “gestisce l’attività di valutazione e di accreditamento (ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005) dei laboratori impegnati a garantire la sicurezza alimentare in ambito cogente e volontario – si legge nella relazione al bilancio 2012 di Accredia.
L’associazione per l’accreditamento divide la propria attività tra quei laboratori che sono obbligati ad avere l’accreditamento – quelli pubblici, che secondo dell’articolo 12 del Regolamento (CE) 882/2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali devono essere accreditati mediante designazione dello Stato membro – ed i laboratori privati che effettuano anche l’HACCP.
Su questi ultimi, la relazione di Accredia recita: ”I laboratori privati che operano nell’ambito dell’autocontrollo degli operatori del settore alimentare (HACCP) effettuano le analisi degli alimenti, comprese le acque, ai fini della sicurezza alimentare e della salute. La Legge n. 88/2009 definisce le disposizioni per l’accreditamento di tali laboratori, e l’Accordo 8 luglio 2010 della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, definisce le modalità per l’iscrizione, l’aggiornamento e la cancellazione dagli elenchi regionali dei laboratori per l’autocontrollo del settore alimentare.” Inoltre, c’è una circolare del Ministero della Salute in argomento, emanata il 18 giugno scorso dal direttore generale Silvio Borrello, che è anche membro del direttivo di Accredia, che recita: ”l’Unico Organismo Nazionale autorizzato in Italia a svolgere attività di accreditamento in base al Regolamento 765/2008 è Accredia e pertanto non possono essere considerati validi accreditamenti di laboratori di prova emessi da altri enti diversi da Accredia.”
In sintesi, per Accredia anche i laboratori HACCP dei privati sono a tutti gli effetti dei laboratori di prova e quindi sono applicabili ad essi tutte le norme sull’accreditamento che scaturiscono dall’applicazione del Regolamento 765/2008, poiché si occuperebbero di fornire pareri di conformità. Pertanto, questi ultimi, se vogliono essere inseriti negli elenchi regionali, devono farsi accreditare, ma necessariamente presso Accredia, in quanto unico ente accreditante in Italia ai sensi del Regolamento (CE) 765/2008. Tale posizione viene sostenuta da Accredia nel caso dei laboratori Modugno in Basilicata ed in altri casi dei quali Radio CRC ha recuperato e sta recuperando la documentazione.
Le ragioni dei laboratori HACCP privati
I laboratori che si occupano di HACCP invece, vedono nell’atteggiamento di Accredia uno sconfinamento: “I nostri laboratori – spiega l’avvocato Baiamonte, non sono quelli pubblici, che forniscono il parere di conformità all’immissione in commercio dei prodotti. I laboratori HACCP sono vincolati unicamente al rispetto delle norme contenute nel Regolamento (CE) N. 852/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari: che nulla prevedono in merito all’accreditamento dei laboratori e che all’articolo 4 comma 5 detta delle linee guida su prelievi e analisi improntate alla massima libertà ed al mero rispetto della normazione tecnica internazionale”. In pratica, secondo i titolari dei laboratori, la pretesa di Accredia di accreditarli per l’HACCP sfocerebbe in una prassi ben al di fuori del dettato del Regolamento (CE)765/2008, che ha come obbiettivo la sicurezza dei prodotti: “Finirebbe per occuparsi della sicurezza del servizio di laboratorio in se considerato – spiega Baiamonte – un’esagerazione, visto che i laboratori di HACCP offrono un servizio all’industria alimentare che effettua l’autocontrollo: analisi di questi laboratori, sia chiaro, vanno in contraddittorio con i risultati dei prelievi effettuati dai laboratori pubblici, i soli che sono inseriti negli obblighi di accreditamento relativi all’ambito di applicazione del Regolamento 765/2008.”
Secondo Baiamonte, tocca sicuramente ad Accredia accreditare i laboratori pubblici. “Perché il Regolamento 882/2004 crea una riserva di legge – spiega l’avvocato, che segnala – sulla conformità alla normativa in materia di mangimi ed alimenti destinati al consumo umano lavorano solo i laboratori pubblici, perché solo questi sono abilitati a diramare l’allerta alimentare, che in sede di Comunità Europea può determinare il ritiro o il richiamo di mangimi ed alimenti. Su tale normativa speciale – dedicata alla specifica sicurezza degli alimenti – la funzione di ente unico nazionale accreditante di Accredia – nata ai sensi del Regolamento 765/2008 – entra limitatamente a questi specifici laboratori pubblici, poiché solo i “pubblici” rientrano nella categoria “organismi di valutazione della conformità” successivamente prevista dal Regolamento 765/2008”.
Eppure Accredia e il Ministero della Salute invocano la possibilità di applicare l’articolo 40 della legge italiana 88/2009, che norma proprio i laboratori di autocontrollo HACCP e che addirittura li obbliga ad accreditarsi: “I laboratori … devono essere accreditati, secondo la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025, per le singole prove o gruppi di prove, da un organismo di accreditamento riconosciuto e operante ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17011”.
“Tale pretesa è assurda – scandisce Baiamonte – la norma invece fa chiaro riferimento solo ai laboratori pubblici, dividendoli in due categorie: quelli non annessi alle imprese alimentari che effettuano analisi nell’ambito delle procedure di autocontrollo per le imprese alimentari, che sono quelli pubblici che certificano a valle che il lavoro dei laboratori privati a monte sia stato fatto bene, e quelli anche privati, ma annessi alle imprese alimentari, che effettuano analisi ai fini dell’autocontrollo per conto di altre imprese alimentari facenti capo a soggetti giuridici diversi: i laboratori dei macelli, delle aziende ittiche e tutti quelli che trovandosi nella condizione di opportunità di dover velocemente avere l’OK della pubblica amministrazione, sono abilitati a dare giudizi di conformità, a patto che in questi casi particolari operino veterinari e personale che dipendano da enti pubblici. Diversamente – afferma Baiamonte – i referti delle analisi, anche con l’accreditamento del laboratorio, non avrebbero mai valore di giudizio di conformità”.
Nel 2009 – quando le norme dell’articolo 40 della legge 88 vedono la luce al fine di raccordare il dispositivo del Regolamento 882/2004 sui controlli ufficiali con la restante normativa europea sulla sicurezza di mangimi ed alimenti – Accredia non era stata ancora costituita, ma era già noto al legislatore nazionale che sarebbe presto nata, in quanto il Regolamento comunitario sull’accreditamento è del 2008 e sarebbe entrato in vigore nel 2010. Così l’articolo 40 si limitava a rinviare per l’accreditamento i laboratori pubblici – senza per altro menzionarli in maniera esplicita – a norme tecniche precise e ad un generico ente di accreditamento, cosa che potrebbe aver generato un equivoco non da poco sull’interpretazione da dare alla norma, visto che, secondo il Ministero della Salute ed Accredia, questa è da intendersi rivolta anche ai laboratori HACCP dei privati.
“Ci troviamo di fronte ad una valanga di decreti assessorili illegittimi – sottolinea Baiamonte – derivanti da un’interpretazione della norma nazionale sull’accreditamento dei laboratori pubblici che si occupano di autocontrollo che è in aperta violazione della norma comunitaria sull’HACCP e che costringe oggi migliaia di laboratori ad accreditarsi da Accredia a costi elevatissimi ed in un regime di monopolio che illecitamente sottrae al mercato l’accreditamento volontario dei laboratori privati che praticano l’HACCP e che li costringe ad iscriversi in elenchi assolutamente neppure immaginati per loro.”
Ci si vede al TAR
Insomma, il Regolamento sull’accreditamento dei prodotti riguarda anche gli alimenti ed i mangimi, a ben vedere l’articolo 17, ma mentre Accredia avoca a se la competenza anche per il regime di autocontrollo degli alimenti effettuato dai laboratori privati, questi mettono invece in luce la presenza di altra normativa europea previgente ed in conflitto. Per altro, lo stesso punto 5 dei “considerata” del Regolamento 765/2008 sull’accreditamento prevede: ”secondo il principio della lex specialis, il presente regolamento dovrebbe applicarsi soltanto nella misura in cui non esistano disposizioni specifiche con pari obiettivo, natura o effetto in altra normativa comunitaria di armonizzazione vigente o futura”. Che tradotto dai laboratori privati significa: non si può applicare il Regolamento sull’accreditamento all’HACCP perché esiste già il Regolamento 852/2004 che lo norma.
Come finirà? Sicuramente innanzi ai TAR e con un ampio seguito nei tre gradi di giudizio. Radio CRC seguirà questa vicenda: poiché rilevante dal punto di vista economico e sociale, perché ha a che fare con il buon funzionamento del mercato e mette il dito su di un elemento dirimente nelle società democratiche e occidentali: fino a che punto deve spingersi il pubblico nella sua pur legittima attività di controllo dei soggetti privati, sottraendo così al mercato intere branche di attività?
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